27
Febbraio 2007
La cabala elettorale
Filippo Ceccarelli
Tutti alla ricerca del modo meno cruento per dimenticare il "Porcellum"
Il carosello delle proposte, dal sistema alla francese alle clausole tedesche
E nella babele delle idee c´è posto anche per la beffarda ipotesi del costituzionalista Ceccanti:
una legge per regolamentare il voto destinata solo alle coppie di fatto...
Soglie di sbarramento, premi di maggioranza, proporzionali mitigate e maggioritari rinforzati:
serve una sintesi che non scontenti grandi e piccoli
Ma sì, davvero, ecco di che cosa ha bisogno l´Italia del 2007:
di una bella riforma elettorale. Tanto se ne sono già fatte poche, e con quali
mirabili risultati!
Basti solo pensare ai nomignoli beffardi con cui da una dozzina d´anni, a
disdoro dei loro illustri artefici vengono correntemente designate tali
ineffabili creature normative: il "Mattarellum", il "Tatarellum". Robaccia,
innominabili pastrocchi, garbugli da dilettanti che si fingevano demiurghi. E
infatti: «Bestioni!» li ammoniva invano dalla sua cattedra Giovanni Sartori, uno
dei pochi veri esperti di sistemi elettorali, denunciando l´esistenza di un
autentico regime di «asinocrazia».
Ma poi anche le più brutali invettive del Professore sono state annichilite,
pure sul piano della bestialità, dalla ultimissima riforma. E così avendo
onestamente riconosciuto l´ex ministro Calderoli di aver fatto «una porcata», la
vigente legge elettorale ha nome: «Porcellum». E con questa immagine, con questa
memoria, con questo spirito, si accoglie l´eventualità che il governo Prodi
possa risorgere dalla caduta e magari perfino allargare la sua maggioranza
procedendo sulla strada desolante e scivolosissima dell´ennesima revisione.
Ritorna dunque, se mai se ne fosse andata, la cabala della Seconda Repubblica.
Di origine dottrinaria ebraica, legata a un certo tipo di lettura e
interpretazione delle Sacre scritture, più in generale la cabala indica l´arte
di indovinare il futuro attraverso i numeri; e tuttavia, secondo il dizionario
Devoto-Oli (Le Monnier) va intesa pure, e significativamente, come «raggiro»,
«imbroglio», «montatura», «manovra subdola», «vistosa fandonia». E a parziale
conferma non sembri del tutto inutile ricordare che «´mbruoglio aiutaci!»
risuonava la rituale invocazione con cui il compianto Pinuccio Tatarella,
autoproclamatosi «ministro dell´armonia», si attrezzava a superare le difficoltà
della politica, a partire dalle leggi elettorali.
E sì che in qualche modo bisognerebbe levarsi di torno il "Porcellum". Ma come?
Oggi va molto il modello cosiddetto «alla tedesca». Però anche qui non si può
fare a meno di rievocare l´allucinante carosello che per un paio di lustri ha
portato nugoli di legislatori ad accapigliarsi attorno al sistema americano, a
quello britannico, a quello della Spagna e della Francia («il mal francese» lo
definì a suo tempo Pannella, alludendo alla sifilide), quindi del Belgio, di
Israele e addirittura dell´Australia. E se questo giro del mondo già basterebbe,
ma il capolavoro di Calderoli ha avuto anche l´effetto di riaprire la
discussione sulla clausola di sbarramento, che sarebbe la soglia sotto la quale
i partiti non vengono rappresentati in Parlamento; e siccome ad Ankara pare che
ne abbiamo imposta una piuttosto elevata, al 10 per cento, c´è il rischio di far
entrare nel dibattito anche un modello già sconciamente definito «alla turca».
L´esperienza misteriosofica delle norme elettorali, d´altra parte, e ancora di
più i loro esiti concreti, paiono autorizzare qualsiasi dileggio in materia. E
prova ne sia il beffardo articolato ad uso amichevole che in questi giorni ha
prodotto un valente costituzionalista, Stefano Ceccanti, sperimentandosi in un
sistema elettorale destinato però solo alle coppie di fatto. Per cui: «Le coppie
di fatto registrate eleggono i propri rappresentanti con un sistema
proporzionale. Accedono alla ripartizione dei seggi le liste che abbiano
ottenuto il tre per cento dei voti. Le coppie di fatto non registrate - prosegue
il cortocircuito del professore - eleggono i propri rappresentanti con un
maggioritario a turno per il 75% dei voti. Il restante 25% è attribuito con
recupero proporzionale su base nazionale. I mariti poligami esprimono il loro
voto sulla base del sistema elettorale tedesco. E´ ammesso il voto disgiunto tra
lista e candidata "moglie privilegiata"». E ancora, al comma 5: «Il 10% delle
coppie eterosessuali non registrate può richiedere il ballottaggio nel caso in
cui il candidato che nel collegio abbia avuto minori suffragi non abbia comunque
raggiunto il 50% + 1 del voti validi...», e così via.
Oltre che sintomatica, la trovata è anche buffa. Ma nella never ending story
della cabala elettoralistica all´italiana a un certo punto il senatore Salvi ha
anche proposto il «voto sessuato», cioè a urne separate a seconda dei generi.
Così come ad altri luminari dell´ingegneria istituzionale applicata è parso
normale di suggerire una specie di Voto Totale Onnicomprensivo, da realizzare
attraverso una gigantesca scheda contenente 635 nomi per ogni partito. E se il
presidente emerito Cossiga, in un impeto di entusiasmo riformatore si è
slanciato a delineare non uno, non due, ma ben tre turni, fra le arcane perle
algebriche che a suo tempo hanno suggestionato leader e gregari merita
senz´altro una specialissima segnalazione l´incredibile marchingegno che, sulla
base di un premio di maggioranza da distribuirsi in modo inversamente
proporzionale, arrivava a garantire il massimo dei seggi al partito che aveva
perduto più voti.
Ora. E´ difficile capire perché da più di un decennio la politica va
sistematicamente a sbattere sulle leggi elettorali. Tanto assurde, quanto
dannose. Forse è il gusto tutto italiano per le astrattezze furbesche, oltremodo
incoraggiate dal più vivido individualismo. O forse si tratta solo di spostare
l´attenzione dal pessimo stato in cui versano i partiti. Fatto sta che
l´infinita varietà delle soluzioni, via via proposte e inflitte all´incolpevole
elettorato a partire dalla stagione referendaria, si è tradotta in una giostra
impazzita, una specie di carnevale pseudo-matematico di inversioni,
integrazioni, ibridazioni, attribuzioni, e accertamenti, sbarramenti,
collegamenti, tetti, bonus, quote, scorpori, desistenze, liste-civette ed altre
enigmatiche entità contabili che al culmine dell´indicibile, nel linguaggio
ormai inadeguato degli specialisti, hanno propiziato la fantastica comparsa,
anche, di «mammozzi» e «poliponi». Che certo - era il 1993 - avevano a che fare
con la dislocazione dei simboli sulla scheda e poi con ripartizione dei seggi in
Parlamento, ma che nessuno ha mai capito bene cosa fossero.
Ma la questione più allarmante, al di là delle spiritosaggini, è che il
dibattito pubblico sulle riforme elettorali ha l´effetto immediato di
privatizzarle, sia pure per l´impossibilità di capire, o per sfinimento. Così,
tagliati fuori gli italiani, si allestisce di solito un bel «tavolo»
opportunamente litigioso. Vi si siedono appunto, assai compresi nel loro ruolo,
gli ottimati della commisurazione mirata, i cabalisti del maggioritario
corretto, gli sciamani del metodo d´Hondt. Nel frattempo una intera generazione
di giornalisti politici ci ha fatto i capelli bianchi, e a raccogliere e
rimontare gli schemini pubblicati dai giornali verrebbe fuori l´Enciclopedia
Treccani, ma molto più inutile e noiosa.