Domenica, 30 Aprile 2006
MA LA CDL ANCORA NON CI STA
Eugenio Scalfari
SE VOGLIAMO stare ai fatti, la prima domanda riguarda la
tenuta della nuova maggioranza che la nuova opposizione riteneva impossibile
specie al Senato, dato il piccolissimo scarto tra i due schieramenti. Su questa
scommessa la Casa delle libertà aveva puntato tutte le sue carte, coadiuvata da
un vasto spiegamento mediatico che ha cercato in tutti i modi di tessere la tela
delle larghe intese tra le opposte sponde, rese necessarie dalla presunta
ingovernabilità del Parlamento e del Paese.
La condizione per realizzare quest´obiettivo era la vittoria di Giulio Andreotti,
il rinvio dell´incarico a Prodi, infine il pareggio elettorale reso visibile
nelle aule del Parlamento.
I fatti hanno invece portato alla sconfitta di questa strategia. La maggioranza,
sia pure di due soli voti, non è mai venuta meno. Sulla carta (esclusi i
senatori a vita) il centrosinistra aveva al Senato 158 seggi e il centrodestra
156. Nella prima votazione di venerdì scorso ha avuto 157 voti contro i 140 di
Andreotti e i 15 di Calderoli (155 in totale). Sono mancati un voto al candidato
dell´Unione e un voto al candidato della Cdl. Nelle successive votazioni (quelle
funestate da «Francesco-tiratori») Marini non è comunque mai sceso sotto ai 159
voti validi, fino ai 165 della votazione di ieri mattina, quella della vittoria,
con una maggioranza di 9 voti sull´avversario.
Questi sono i numeri. Lo sbando del centrosinistra non c´è mai stato e l´Unione
ha tenuto in tutte le sue componenti.
Ciò non significa che non vi siano stati episodi disdicevoli, schede
volontariamente manomesse, ricostruibili, taroccate.
Quante? Anche qui stiamo ai fatti. Ce ne sono state 3 nella seconda votazione
annullata da Scalfaro e 2 nella successiva. I famosi «Francesco-tiratori» si
sono manifestati quando però i voti di Marini erano già al di sopra dei seggi
elettoralmente attribuiti al centrosinistra.
Gli autori di quel taroccamento sono stati variamente indicati: senatori
dell´Udeur, senatori votati dagli italiani residenti all´estero, senatori a
vita, senatori del centrodestra che, invece di votare Andreotti, avrebbero
"scherzato" sul nome di Marini storpiandolo a volontà per provocare
l´annullamento delle loro schede e gettare il marasma del sospetto nel fronte
avverso.
Quest´ultima ipotesi non è stata fin qui formulata ma a me sembra la più
probabile tenendo conto che Andreotti non ha mai superato i 155 voti nella
giornata di venerdì.
Avrebbe dovuto averne 156 stando ai risultati elettorali, più 3 senatori a vita
(Cossiga, Pininfarina e lo stesso Andreotti) e così 159. Sono stati dunque 4 i
voti mancanti all´appello. Che fine hanno fatto questi voti? Ecco un piccolo
rebus che propongo alla riflessione di chi ha inneggiato o si è messo le mani
nei capelli durante le votazioni senatoriali del 28 aprile.
La "bagarre" sorta attorno alle schede taroccate non può certo essere ignorata.
Marini e Andreotti ne hanno fatto entrambi le spese (alle schede intitolate a
«Francesco Marini» hanno infatti fatto riscontro quelle compilate per «Andreotti
senatore Giulio», «Andreotti G.» e «senatore Andreotti Giulio» destinate alla
riconoscibilità del voto segreto). Ma chi, come me, ha seguito per dovere
professionale decine e decine di siffatte votazioni sa che esse sono sempre
avvenute e sempre purtroppo avverranno intrecciando le votazioni per cariche
istituzionali con la formazione dei governi, i programmi politici, le correnti
interne ai partiti, l´intreccio tra affari e politica. Sono i difetti della
democrazia parlamentare che non è certo un sistema perfetto anche se non se ne è
ancora inventato uno migliore.
* * *
Bertinotti e Marini, appena insediati nei loro scanni presidenziali, hanno
pronunciato due buoni discorsi.
Misurati, equilibrati, insistentemente al di sopra delle parti, volutamente
rassicuranti e con la mano tesa verso gli avversari di un minuto prima. Hanno
riscosso molti applausi della loro parte e anche della parte avversa. Nel
momento dell´insediamento è sembrato che le due Camere fossero completamente
diverse da come erano apparse poche ore o appena pochi minuti prima. Piaccia o
non piaccia, questa è la politica. Non sempre è ipocrisia, spesso si tratta di
cambiamento di ruolo, quando dal virtuale si passa alla realtà.
Un solo personaggio non ha manifestato cambiamenti: Silvio Berlusconi.
Durante l´insediamento di Bertinotti il suo viso era terreo, la mascella
serrata, lo sguardo cupo, a volte smarrito ma sempre iroso e vendicativo.
Nello spazio di ventiquattr´ore ha visto franare la sua strategia così
puntigliosamente preparata. Affinché riuscisse, tutto era stato predisposto,
dalla candidatura di Andreotti agli insulti e alle contestazioni contro Scalfaro,
dal probabile taroccamento di alcune schede al martellamento sull´inevitabilità
della «grande coalizione», dal voto sul nome di D´Alema contrapposto a quello di
Bertinotti fino al costante dileggio sparso a piene mani contro Prodi.
Non sono serviti. Per poche ore è sembrato che il fantasma d´un grande ritorno
prendesse corpo, ma alle tre del pomeriggio di ieri la partita si è chiusa.
Chi si illudesse che l´uomo di Arcore abbia deposto le armi e voglia collaborare
alla pacificazione, prenderebbe però un grosso abbaglio. Non ha deposto un bel
niente. Secondo la prassi avrebbe dovuto convocare immediatamente il Consiglio
dei ministri e andare ieri sera al Quirinale a dimettersi. Non lo ha fatto;
resta ancora abbarbicato come l´edera a Palazzo Chigi fino a martedì. Nel
frattempo continua ad ingiungere a Ciampi di non dare l´incarico a Prodi che
invece, se Ciampi lo considerasse necessario o semplicemente opportuno, rientra
senza ombra di dubbio nei poteri costituzionali del presidente della Repubblica.
Da questo punto di vista è bene chiarire che non c´è e non ci può essere alcun
problema di ingorgo parlamentare. Se Ciampi deciderà di incaricare Prodi e se
subito dopo avrà inizio il dibattito sulla fiducia, l´ingorgo tra quel dibattito
e l´elezione del nuovo Capo dello Stato è puramente immaginaria. Il presidente
della Repubblica infatti viene automaticamente prorogato fino a quando il nuovo
governo da lui nominato abbia ottenuto la fiducia delle Camere ed è comunque,
dopo il giuramento, già nella pienezza dei suoi poteri. Il «plenum» del
Parlamento viene convocato dal presidente della Camera non appena adempiuti gli
impegni di calendario. Non si verifica alcun vuoto costituzionale perché la "prorogatio"
del Capo dello Stato è automatica e dura fino all´elezione del suo successore.
Ma l´improntitudine del presidente del Consiglio uscente va ancora più in là,
molto più in là. Come leader di Forza Italia ieri ha lanciato la candidatura di
Gianni Letta per il Quirinale mentre i suoi portavoce aggiungevano i nomi di
Pera e di Casini formando così una rosa sottoposta alla valutazione della nuova
maggioranza parlamentare.
Incredibile ma vero. La prassi consolidata vuole che, per la massima istituzione
dello Stato sia la nuova maggioranza parlamentare a proporre all´opposizione una
rosa di nomi per realizzare un´auspicabile convergenza di forze. Qui accade
l´incontrario. E poiché la risposta non potrà che essere negativa, Berlusconi ne
trarrà nuova legna per alimentare il fuoco del ribellismo alle regole e
trasformare una legislatura già di per sé difficile in una rissa continua e
permanente.
* * *
Chi dei suoi lo seguirà in questo comportamento consapevolmente eversivo? I tre
da lui candidati al Quirinale erano preventivamente informati di quella mossa
estremamente spericolata? Si rendono conto del significato e degli effetti che
ne derivano?
Ma ancora più interessante è capire come sarà accolta l´ennesima provocazione
berlusconiana da quella metà di italiani che lo ha ancora una volta votato, a
cominciare dal Nord delle piccole imprese.
Gli interessi dei ceti produttivi sono di avere un governo in grado di governare
e non paralizzato da un´emergenza permanente. E poiché un governo tra pochi
giorni ci sarà e nascerà poggiandosi ad una squadra di persone serie e preparate
a cominciare da Tommaso Padoa Schioppa all´Economia, l´Italia produttiva si farà
coinvolgere in un ribellismo continuo e paralizzante o manderà segnali visibili
a chi ha ricevuto i suoi voti il 10 di aprile?
Questa è la questione che i comportamenti di Berlusconi, ma anche quelli di Fini
e di Casini, pongono a tutto il Paese.
Naturalmente il frullatore mediatico di cui il padrone delle televisioni dispone
è tale da far presagire una presentazione distorta dei fatti. Per questo è tanto
più necessario il ruolo di chiarimento della libera stampa e del servizio
pubblico televisivo se si riuscirà a liberarlo dall´ipoteca di Arcore senza
peraltro indulgere a ipoteche di altro colore.
* * *
Non posso però chiudere queste note senza soffermarmi brevemente sui due
personaggi che sono stati al centro delle vicende nelle ultime quarantott´ore.
Parlo dei due senatori a vita Andreotti e Scalfaro.
Il primo ha accettato la candidatura del centrodestra alla presidenza del
Senato. Essa è stata presentata come "super partes". Non lo era e Andreotti lo
sapeva benissimo.
Sapeva anche che tra i personaggi eminenti del quarantennio democristiano della
Prima Repubblica lui è stato ed è il più discusso di tutti. Andreotti non è un
nome che unisce ma un nome che divide.
Abbiamo sperato (per lui, per la sua dignità e infine per l´età veneranda cui è
arrivato e per la carica onorifica che ricopre) che dopo le votazioni di venerdì
decidesse di ritirarsi da un confronto cui non avrebbe mai dovuto offrire il suo
nome. Invece ha proseguito fino alla sconfitta finale. Esempio quanto mai
disdicevole d´una passione per il potere e per le cariche che ha caratterizzato
l´intera sua esistenza e che non può certo esser camuffata da spirito di
servizio cristiano. Alla sua età poi...
Oscar Luigi Scalfaro è stato aggredito a freddo da una metà del Senato e anche
da persone – fuori dal Senato – che l´hanno insultato con livore e faziosità.
Parlo specificamente di Gianfranco Fini, da alcuni mesi regredito di nuovo al
fascismo di origine.
Scalfaro ha presieduto una sessione tumultuosa di quell´assemblea. Ha
giustamente rifiutato d´intervenire nella disputa tra i sei segretari provvisori
ai quali, per regolamento, spetta in esclusiva il controllo delle schede di voto
e della loro correttezza formale e sostanziale. Ha annullato la seconda
votazione proprio per rispettare le obiezioni dei due segretari di centrodestra
alle quali si opponevano i quattro segretari di centrosinistra.
Nella terza votazione ha letto male una scheda. Se n´è scusato dinanzi
all´assemblea ricordando con molta umiltà che alla sua età presiedere un
consesso di quell´importanza e così tumultuoso per quattordici ore di fila lo
aveva ridotto allo stremo delle forze. Avrebbe dovuto essere applaudito per
questa sua dichiarazione, viceversa è stato sommerso da critiche impietose ad
opera principalmente del senatore D´Onofrio, polverosa figura di vecchio
democristiano ora portavoce dei desideri del padrone.
Infine è stato redarguito con vociferazioni da stadio per aver spostato dalle 20
alle 22 della sera di venerdì la terza votazione per dar modo di poter votare ad
alcuni membri dell´assemblea che si erano allontanati non prevedendo che la
seduta sarebbe ripresa.
Osservo che in votazioni importanti è interesse di tutti (o dovrebbe essere) che
il maggior numero di aventi diritto al voto possa esercitarlo.
Osservo che il presidente Pera ha postergato innumerevoli volte l´inizio delle
votazioni quando veniva richiesta la verifica del numero legale.
Infine osservo che c´è modo e modo di criticare un ex presidente della
Repubblica che ha avuto il solo demerito di aver fatto rispettare la
Costituzione anche a Silvio Berlusconi, il che non è certo un risultato di
facile realizzazione.
Se c´è stato un comportamento indecoroso in quanto è accaduto venerdì al Senato,
è a mio avviso quello di una parte dell´assemblea nei confronti di un uomo di
tarda età, ex presidente della Repubblica e senatore a vita, ex membro
dell´Assemblea costituente del 1946, che ha servito il suo Paese per
sessant´anni. Questo penso e questo scrivo.