30 aprile 2006
Baldanza e realismo
Sergio Romano
Un editoriale sulla presidenza delle Camere, apparso nel
Corriere di qualche giorno fa, è stato intitolato «Pessimo spettacolo». Forse
sarebbe stato preferibile dire che lo spettacolo era brutto e lasciare «pessimo»
per quello che poteva accadere e che è puntualmente accaduto al Senato fra
venerdì e sabato. Ma anche i drammi italiani, fortunatamente, hanno un epilogo.
Abbiamo un presidente della Camera che crede nelle istituzioni, anche se
vorrebbe che i deputati si riunissero a Marzabotto. E abbiamo un presidente del
Senato che chiede «a tutti di saper convergere nelle grandi scelte che
coinvolgono il Paese». Sciolto il nodo delle due presidenze, avremo nelle
prossime settimane l’inizio di un nuovo mandato presidenziale, un governo Prodi,
una nuova legislatura. Resta tuttavia l’impressione che il centro-sinistra, dopo
una vittoria di molto inferiore alle sue aspettative, abbia affrontato queste
prime scadenze con la stessa baldanza mostrata nella campagna elettorale.
L’errore commesso da Berlusconi, quando ha preteso di contestare il risultato
delle urne, spiega lo spirito combattivo con cui la coalizione di Romano Prodi
ha difeso la sua vittoria. Ma non giustifica lo stile con cui i vincitori hanno
imposto i loro candidati.
Dopo avere sostenuto che il governo Berlusconi faceva un uso arrogante della
propria maggioranza, il centro-sinistra sembra deciso a comportarsi, senza
averne i mezzi, nello stesso modo. Non basta dire «governeremo cinque anni»
perché l’auspicio si realizzi. Non sarà facile governare un Paese in cui le
regioni del Nord hanno votato per il centro-destra e in cui due importanti
regioni del Sud hanno rovesciato il risultato delle regionali. Non sarà facile
realizzare un qualsiasi piano di lavoro se il governo, al Senato, ha una
maggioranza minuscola, soggetta a trappole, imboscate, ricatti e imprevisti. Non
credo che Prodi possa compiacersi più di tanto della elezione di Franco Marini:
un evento fin dall’inizio scontato. Credo che dovrebbe piuttosto interrogarsi
sulle beffe goliardiche che hanno preceduto la votazione finale. Qual era il
senso di quelle schede? Erano soltanto una occasionale manifestazione di
dissenso? O non piuttosto le avvisaglie di gruppi che si serviranno del loro
potere marginale, ma decisivo, per contrattare i loro voti? Per sopravvivere in
queste condizioni non basta proclamarsi vincitori.
Occorre distinguere i settori in cui il governo ha il diritto di fare la propria
politica (economia, fisco, lavoro, rapporti con Bruxelles) da altri, più
istituzionali, in cui il governo può, nell’interesse del Paese, avviare un
dialogo con l’opposizione. Ve ne sono almeno due. Il primo è l’elezione del
presidente della Repubblica. Il secondo è il referendum confermativo sulla
riforma costituzionale del governo Berlusconi alla fine di giugno. Se rileggerà
quel testo attentamente, la nuova maggioranza si accorgerà che contiene novità
(i poteri del Premier, le competenze del Senato, la riduzione del numero dei
parlamentari) che possono giovare persino al futuro del suo governo. Forse
esiste la possibilità di emendare quello che merita di essere corretto e di
realizzare finalmente la grande riforma costituzionale di cui il Paese ha
bisogno. Un accordo migliorerebbe il clima. E in un clima diverso tutto, anche
il cambiamento della legge elettorale, diventerebbe più facile.